Luigi De Magistris è stato sospeso da sindaco di Napoli per effetto della legge cosiddetta “Severino” dopo la condanna in primo grado a un anno e tre mesi rimediata per abuso d’ufficio della decima sezione del tribunale di Roma. Da più parti sono arrivate nei giorni scorsi richieste di dimissioni all’ex Pm di Catanzaro. Dimissioni che a più riprese l’ex titolare dell’inchiesta “Why Not” – inchiesta da cui è scaturita la condanna – si è rifiutato (a ragione) di rassegnare guardandosi bene dal ripetere il grosso errore commesso da altri, come ad esempio l’ex governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, che ha evidentemente ceduto alle pressioni mediatiche e a parti politiche a lui vicine o avverse alla sua amministrazione.
Infatti, le dimissioni appaiono inutili e superflue quando c’è una legge che di fatto ti “dimette”, seppure a tempo fino all’appello da cui si potrebbe essere anche assolti e quindi in forza reintegrati. Dimissioni pleonastiche!
Le dimissioni del sindaco di Napoli avrebbero provocato lo scioglimento anticipato del consiglio comunale e l’avvio dell’iter per nuove elezioni. In questo frangente, l’amministrazione comunale veniva guidata dal vicesindaco facente funzioni in regime di prorogatio, una formula che limita fortemente l’attività amministrativa lasciando solo margini per l’ordinaria amministrazione, nonché un vuoto istituzionale dominato dal caos dove l’esecutivo è impossibilitato a dare anche risposte minime alla comunità.
Con la sospensione – è quì l’aspetto d’interesse, senza entrare nel merito della condanna – disposta dal decreto legislativo 235/2012, l’amministrazione di Napoli (così come poteva essere quella calabrese e altre in casi simili, vedi anche la vicenda di Giacomo Mancini senior, sospeso da sindaco di Cosenza negli anni ’90 perché imputato di associazione mafiosa, ma poi assolto) sarà sempre presieduta dal vicesindaco ff (di stretta fiducia del sindaco sospeso) ma con pieni poteri fino a nuove elezioni (nel caso di Napoli il 2016), se non interviene prima la decisione della corte d’Appello, la quale può confermare o ribaltare la sentenza di primo grado.
“Pieni poteri” significa che l’amministrazione, per legge, conserva intatta la legittimazione politica e può quindi proseguire l’attività fino a compimento della legislatura osservando il calendario programmatico premiato dagli elettori. La spinta alle dimissioni rappresentava una forzatura, un’azione politica (o mediatica) “legittima” ma in questi casi, del tutto irresponsabile poiché, non tiene conto degli effetti devastanti che tale decisione genera per una grossa città come Napoli e i suoi cittadini.
Ad esempio, con le dimissioni (superflue) di Scopelliti, l’attività della Regione Calabria è totalmente paralizzata dal regime di prorogatio. La vicenda delle nomine nella Sanità – contestate pure dal governo – confermano l’errore delle dimissioni dell’ex presidente che sarebbe comunque stato “dimesso” dalla legge. Con una differenza: che se non si fosse dimesso oggi c’era un esecutivo e un consiglio regionale in grado di legiferare nel pieno delle sue funzioni fino a scadenza naturale di legislatura (primavera 2015).
Ora, invece, a tutti i livelli nella regione dominano l’anarchia e le camarille, con la politica preoccupata non tanto al mandato assegnatole dai cittadini, bensì dal “guardarsi intorno” e cercare nuovi eventuali posizionamenti in vista delle prossime elezioni indette anzitempo per le dimissioni del presidente. Dimissioni dettate forse da “senso etico e morale”, ma che sono state la spada di Damocle per l’intera regione. Un modo per consegnare l’ente ormai senza controllo ai “predatori” della cosa pubblica.
Se l’ex Pm si fosse dimesso, e ha fatto bene a non farlo, le nuove elezioni sarebbero con ogni probabilità fissate a primavera. Quindi sei mesi di vacatio politica e istituzionale (non vi sarebbero stati i tempi per un voto a novembre), con il comune senza una guida legittimata in mano ai burocrati e agli avvoltoi.