Agenti della Polizia di Stato hanno eseguito a Cosenza alcune misure cautelari nei confronti di soggetti accusati di droga ed estorsione.
L’operazione, denominata “Sette note”, ha portato in carcere Dimitri Bruno, 30 anni, sua madre Maria De Rose, 48 anni, e Riccardo Gaglianese, 25 anni. Ai domiciliari sono finiti Giuseppe Cristaldi, 37 anni, Marcello Bennardo, 53 anni, e Manuel Esposito, 24 anni. Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per C.Q., 26 anni. Un’altra persona, che risulta irreperibile, è ricercata.
Il provvedimento scaturisce da indagini, coordinate dalla Procura cosentina, durante le quali sono state documentate cessioni di stupefacenti come cocaina e marijuana. I pusher operavano principalmente nel centro di Cosenza.
L’indagine ha preso il via all’indomani della denuncia sporta da una “madre coraggio” che, nel mese di ottobre 2017, stanca delle continue vessazioni a cui era sottoposta dal figlio – minacce e lesioni per ottenere somme di denaro da utilizzare per l’acquisto di cocaina – , tossicodipendente e ricoverato in “doppia diagnosi” presso una casa di cura dell’hinterland, si determinava a denunciare i fatti.
Le indagini, svolte nell’arco di quasi un anno dalla prima denuncia – spiegano gli investigatori – si sono sviluppate secondo i consueti canoni investigativi e sono consistite, in particolare, in intercettazioni telefoniche ed ambientali, pedinamenti e appostamenti che hanno permesso di riscontrare l’attività di spaccio posta in essere dagli indagati.
Gli inquirenti sottolineano la complessità dell’azione investigativa della Polizia, che ha dovuto svolgere parte delle indagini in contesti ambientali diffìcili in cui quasi tutti gli indagati operavano, ovvero i rispettivi quartieri di residenza che, in alcuni casi erano diventate vere e proprie piazze di “spaccio” .
La maggior parte degli indagati, avevano messo in atto un sistema di “spaccio” collaudato, perlopiù operando direttamente dalle rispettive abitazioni, seppure alcuni sottoposti agli arresti domiciliari.
“Per sottolineare ulteriormente la pericolosità degli indagati, – è scritto in una nota – giova precisare che uno di loro consegnava dosi di cocaina all’interno della struttura sanitaria in cui un giovane tossicodipendente si trovava sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata e ricoverato in “doppia diagnosi” – si tratta di un regime di ricovero per pazienti affetti da disturbi psichiatrici dovuti all’abuso di sostanze stupefacenti”.