Spunta il nome di un ex affiliato dell’organizzazione terroristica Prima Linea nelle carte del processo, in corso a Milano, per l’omicidio del procuratore torinese Bruno Caccia, commesso nel 1983. Si tratta di Francesco D’Onofrio, 62 anni, di Mileto, Vibo, ma trapiantato al nord, con un passato da militante comunista e considerato dagli inquirenti torinesi legato alla ‘ndrangheta. A chiamarlo in causa è stato un pentito di 28 anni, che quando avvenne il delitto non era ancora nato.
Per l’omicidio del magistrato torinese nel 2015 era stato arrestato Rocco Schirripa, anche lui calabrese di origine, poi liberato a novembre 2016 per un errore procedurale. Per i magistrati fu Scirripa l’esecutore materiale del delitto, mentre il mandante è stato, secondo una sentenza definitiva di condanna all’ergastolo, Domenico Belfiore.
Adesso la “svolta”, con la “gola profonda” che parla necessariamente “per sentito dire”. “Papà, – ha raccontato – in dialetto calabrese, disse che furono Rocco e Franco a farsi il procuratore di Torino. “Farsi” è il termine che tra di noi usiamo per significare “uccidere”. La cosa non mi stupì: sapevo che erano persone che sparavano. Mi limitai a commentare “questa è gente che sa il fatto suo” e non feci domande. Per noi ‘ndranghetisti approfondire i particolari di un omicidio ha senso solo se ci dobbiamo vendicare”.
Franco D’Onofrio, ex Prima Linea, Comunisti organizzati per la liberazione proletaria, è stato coinvolto in alcune indagini sulla ‘ndrangheta nel Nord-Ovest e ha sempre negato ogni legame anche su un altro pentito ha rivelato che nella scala gerarchica dell’organizzazione ha un grado elevato. Lo scorso 19 gennaio è stato condannato a Torino a 4 anni e 2 mesi per il possesso di dieci kalashnikov; le armi però non sono mai state trovate. Il processo Caccia era ripreso dopo decenni di silenzio.