Undici misure cautelari, di cui cinque arresti domiciliari in una vasta operazione contro il caporalato condotta dalla Digos della Polizia e della Gdf di Prato in Toscana e Umbria ed Emilia Romagna. Interessate le province di Prato, Firenze, Modena e Perugia. In manette tre noti imprenditori operanti nel settore della produzione e commercializzazione del vino “Chianti”, tra cui un investigatore privato ed un faccendiere.
Le accuse a vario titolo sono, intermediazione illecita nel reclutamento di cittadini extracomunitari, per lo più giunti in Italia come profughi, sfruttamento del lavoro nero, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, interramento di rifiuti speciali, emissione di fatture false, ostacolo alle indagini di polizia giudiziaria e frode nell’esercizio del commercio.
Le forze dell’ordine hanno proceduto a eseguire diverse perquisizioni nei confronti di cittadini italiani e pakistani e sequestri preventivi di quote societarie. I cinque arrestati sono 3 noti imprenditori operanti nel settore della produzione e commercializzazione di vino, un investigatore privato ed un intermediario.
Le indagini sono state condotte dalla Digos della questura di Prato con la collaborazione della locale sezione della Polizia stradale, della Guardia di finanza di Prato e del Corpo forestale dello Stato di Firenze, tutto sotto il coordinamento dalla Procura della Repubblica toscana.
L’operazione contro il caporalato, denominata “Number Dar”, è scattata al termine di indagini iniziate con la denuncia presentata nel settembre 2015 da due rifugiati africani, i quali segnalavano un illecito sfruttamento di circa 50 braccianti agricoli, tutti di origine africana, impiegati in un’azienda agricola in Val di Pesa (Firenze).
Le investigazioni hanno permesso di scoprire l’esistenza di un’associazione per delinquere composta da cittadini italiani e pakistani che, approfittando dello stato di bisogno delle vittime, provenienti da scenari di guerra e povertà, reclutava profughi richiedenti asilo, presenti all’interno di strutture di accoglienza locali.
Il fine era quello di avviarli, in condizione di sfruttamento, anche mediante l’uso della violenza, minaccia e intimidazione, allo svolgimento di attività agricola sotto pagata, all’interno dell’azienda vitivinicola della zona del Chianti fiorentino.
La presunta organizzazione criminale svolgeva inoltre attività illecite connesse e parallele, con l’ausilio anche di faccendieri e collaboratori esterni, quali la produzione di vino con il marchio “Chianti” in violazione della normativa sulla produzione dei vini del Chianti; l’emissione di fatture per operazioni inesistenti o per importi superiori a quelli reali.
I soggetti indagati sono stati altresì raggiunti da provvedimenti di sequestro preventivo “per equivalente” in ragione dei reati di natura fiscale contestati che ha portato all’ulteriore sequestro di quote di capitale sociale di altre 7 aziende del medesimo gruppo familiare. Per 5 società di esse (di cui tre immobiliari) è stato sequestrato l’intero capitale sociale.